LA LEGGENDA DELLA MADONNA DEL PILERI

Randazzo aveva avuta la fortuna di avere uno dei primi vescovi missionari mandati da San Pietro: San Pellegrino, che con animo indefesso e con frutto consolante annunziò la legge cristiana. Egli fece molti proseliti ed essi furono il primo nucleo di buon lievito che poi diffuse la buona novella per tutta la valle dell’Alcantara[1].

Ma ecco che anche nel territorio della nostra Isola si abbatte la furia distruttrice ed empia delle persecuzioni. E allora i cristiani per sfuggire alla violenza ed all’ingiustizia, come a Roma, a Catania, a Siracusa, si rifugiano in una grotta a ridosso dell’Alcantara in mezzo alle orride lave dell’Etna. Ma la persecuzione infierisce sempre più ed i poveri fedeli, incalzati dalla violenza e dalla brutalità del tiranno, pensano di sciogliersi e di abbandonare quel sacro luogo, testimone della loro tenera pietà e della loro fede indefessa. Non vogliono però che sia profanato dagli empi quel luogo sacro e soprattutto quell’immagine della Santissima Vergine, oggetto della loro più delicata devozione. Dentro la grotta, infatti, sorgeva a ridosso ad un pilastro della volta, effigiata direttamente su un riquadro dell’intonaco, una meravigliosa Madonna, col volto soffuso di dolcezza e di celestiale pace che portava sulla sinistra il Bambino Gesù.

Pensano pertanto di occludere, con un muro, l’ingresso della grotta, e con delicata pietà filiale, prima di dare l’addio alla santa Immagine, accendono davanti a lei un lumicino che simboleggi il loro amore e la loro fede.

Passano gli anni e si perde il ricordo di tanta pietà. Le persecuzioni sempre più incalzanti, spazzano gli antichi fedeli, e gli sterpi, i rovi, la natura, cancellano persino il ricordo di ciò che vi era stato in quel luogo.

Un giorno un pastorello, intanto che attendeva alla custodia delle pecore, ecco è attratto dal brillare intermittente di una fiammella che traspariva da un’anfrattuosità della roccia lavica. Si avvicina, applica il suo occhio alla fessura e con grande meraviglia osserva ciò che gli antichi cristiani avevano chiuso dentro la grotta.

Era passato un secolo e per portento divino la fiammella ardeva ancora davanti alla sacra immagine della Madonna che da quel giorno, sotto il titolo di Madonna del Pileri, cioè del pilastro, fu la venerata protettrice dell’incipiente paese.

Il fatto prodigioso suscitò tale entusiasmo in mezzo ai buoni fedeli del luogo che ivi innalzarono prima un’ara e poi una chiesetta di legno, proprio ora dove sorge un tempio maestoso, che racchiude i tesori di arte e di pietà e che attraverso i secoli ha raccolto dentro di sé, le masse accorrenti al richiamo della entusiasta pietà della Madonna del Pileri.

Ancora la santa Effige è lì, come testimonianza dei fatti prodigiosi che abbiamo narrato. Rovinata dal tempo, attraverso i graffiti screpolati dell’affresco e le muffe che profondamente hanno alterato i colori, ci mostra la sua materna faccia, improntata ad una celestiale dolcezza e materna pietà.

Stilisticamente parlando è una di quelle numerose immagini così dette “archetipo” che portano in sé i segni della più lontana età e le cui immagini si perdono nel buio dei secoli. A me profano sembra che non possa appartenere ad una età che sia anteriore alla bizantina, perché il vestito, i segni caratteristici ed i tratteggi del volto ci richiamano a questa arte che tante tracce ha lasciate nella Sicilia, specialmente negli ipogei rupestri del siracusano e di tutta la Sicilia sud-orientale.[2] Evidentemente la leggenda si deve riferire o al periodo iconoclasta che sotto Leone Isaurico nell’ottavo secolo infierì anche nella nostra isola, o al periodo arabo, anziché al periodo cristiano del terzo secolo di cui non si conservano tracce di sorta nel territorio di Randazzo; degli arabi invece ci parla persino il nome di esso che secondo l’Holm[3] e l’Amari[4] deriverebbe proprio dal nome di un capo arabo che ebbe sede a Taormina.

Dalla storia inoltre sappiamo che varie e feroci furono le persecuzioni sia degli iconoclasti che degli Arabi, specialmente in questa parte della Sicilia orientale che si chiama Valdemone, perché fu la più restia e la più tetragona alla penetrazione araba; infatti terribili furono le scaramucce e le repressioni saltuarie che il feroce invasore perpetrò nei suoi frequenti passaggi per la obbligata valle dell’Alcantara; basterebbe tenere presenti le efferatezze del feroce El Ibrahim nella occupazione di Taormina che strappò il cuore all’ancor vivo vescovo San Procopio[5], e a Siracusa contro i cristiani raccolti nel tempio.[6]

Imprecisa perciò mi sembra e un po’ presuntuosa l’epigrafe che la entusiasta pietà dei fedeli randazzesi appose nel secolo passato sotto la sacra immagine affrescata:

HAEC DEIPARAE IMAGO

QUAE UT PIE TRADITUR BINA POST SAECULA A REPARATA SALUTE

MIRACULOSE REPERTA

AC IN TERTIO SEPTENTRIONALI HUIUS TEMPLI INTERCOLUMNIO USQUE ADHUNC VENERABATUR

QUAMVIS TEMPORUM INJURIA DEFORMATA

FIDELIUM TAMEN OB DEVOTIONEM ATQUE REVERENTIAM

HUC TRADUCTA

X KAL. OCT. MDCCCLXXXIV

QUESTA IMMAGINE DELLA MADRE DI DIO

LA QUALE COME DEVOTAMENTE SI TRAMANDA DOPO UNA RIPARATA SALVEZZA

E’ STATA MIRACOLOSAMENTE RITROVATA

E NEL TERZO INTERCOLUMNIO SETTENTRIONALE DI QUESTA CHIESA

DA QUEL MOMENTO VENIVA VENERATA FINO AD ORA

MALGRADO FOSSE LOGORATA DALLE INSIDIE DEL TEMPO

TUTTAVIA PER LA DEVOZIONE E VENERAZIONE DEI FEDELI

FU CONDOTTA IN QUESTO LUOGO

IL 10 OTTOBRE 1884

Traduzione a cura di Roberto Maio

[1] Lancia Brolo, Storia della Chiesa in Sicilia, Palermo 1884, 32-49, vol. I. – Rocco Pirro, Sicilia Sacra- Ecclesia Triocolitana, Not. II 1.2°, 432, vol. I.

[2] Giuseppe Agnelli, Monumenti bizantini in Sicilia, Firenze 1952.

[3] Adolfo Holm , Storia della Sicilia nell’antichità, vol. II, Torino 1896.

[4] Michele Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia, Firenze, 350-347.

[5] Lancia Brolo, op. cit. 347.

[6] Teodoro Monaco, L’espugnazione di Siracusa, Lancia Brolo, op. cit. vol. II, 347.

L’ERUZIONE E LA PROTEZIONE DELLA VERGINE

La Vergine così divenne la protettrice del paesello che man mano s’ingrandiva e quelle verdi campagne, tormentate dai costoni selvaggi di lava, cominciavano a popolarsi e a prosperare intorno alla chiesetta lignea della Vergine del Pileri. In tutte le calamità, nelle pestilenze, nei flagelli apportati dal vulcano che incombe, nelle eruzioni, nei terremoti, in tutte le sventure, che si abbattono sulla vita e sulle case, i pii fedeli, da allora fino ad ora, accorrono sempre ad invocare la materna protezione della loro Protettrice.

Il più lontano ricordo dell’efficace protezione della Madonna del Pileri l’abbiamo in una terribile eruzione che minacciava la vita e gli averi dei fedeli randazzesi.

Era il I° febbraio dell’anno…..[1], come dice la tradizione e l’Etna tra boati e terremoti si desta dal suo lungo torpore; il cielo è nero e un’afa di morte si stende per tutta la regione; cenere, lapilli, enormi massi incandescenti, lanciati ad una inverosimile altezza, cadono nella valle sottostante, mentre un torrente di lava, largo chilometri, copre e distrugge, nella sua inesorabile avanzata, ogni cosa. Era una vera scena apocalittica! Il buon popolo randazzese, incapace di resistere a tanto terrore, trova il suo rifugio presso la sacra immagine della Madonna del Pileri ed implora soccorso ed aiuto. [2]

La lava intanto nella sua lenta corsa, si dirige verso la città, ma la Madonna, impietosita, con un suo miracoloso intervento, la libera dalla rovina imminente. Appare in sogno ad un pastore di buona vita e gli promette la conservazione della città.

Randazzo resta salva, e i buoni cittadini tramandarono per secoli il ricordo di questo portento, finché un abile pittore, l’Alibrandi, il Raffaello siciliano cui fu commesso l’incarico, non eternò su un quadretto, il portentoso avvenimento: la Vergine Santissima, in atto di spremere dalla sua mammella sinistra il latte, che spegnerà il fuoco dell’Etna, rivolge gli occhi dolci e misericordiosi al suo divin Figlio Gesù, che troneggia in mezzo alle nubi fra una schiera di angeli osannanti, mentre con la destra accenna la città minacciata posta ai suoi piedi.

La squisita fattura e la delicatezza delle linee e della composizione fanno del quadretto uno dei pezzi artistici più importanti che adornano la chiesa di Santa Maria.

Questi due avvenimenti, del ritrovamento e della liberazione dalla lava; che secondo la tradizione dovettero essere a breve distanza, furono i fatti determinanti perché la Madonna del Pileri diventasse la protettrice di Randazzo invocata per molti secoli, centro di tutta la vita cittadina ed onorata con lo splendore più squisito dell’arte.

LA LEGGENDA DEL TESORO

Suggestive sono le leggende dei tesori di S. Maria custodito da un enorme gigante, del tesoro della chiesa. Essa racconta che sotto la chiesa giace incantato un tesoro, la cui immensa ricchezza è custodita da una chioccia con la sua numerosa nidiata di pulcini, tutti d’oro massiccio e con gli occhi, il becco e i piedi di pietre preziose.

Chi volesse impadronirsi del tesoro deve penetrare nel sotterraneo della chiesa nella notte di Natale, nei brevi istanti in cui dura l’Elevazione della messa di mezzanotte, all’insaputa del sacerdote officiante. Difficoltoso è il cammino poiché, per raggiungere il luogo del tesoro, si deve penetrare nella grotta che si apre nelle balze dell’Alcantara, sotto l’ex monastero di S. Giorgio, deve aprire le sette porte ferrate custodite da mostri spaventosi, che intercorrono lungo la galleria, che immette nella grotta sottostante la chiesa. Chi non riuscisse a compiere l’impresa nei brevi istanti dell’Elevazione resterebbe incantato.

[1] Lancia Brolo, Storia della Chiesa in Sicilia, Palermo 1884, 32-49, vol. I. – Rocco Pirro, Sicilia Sacra- Ecclesia Triocolitana, Not. II 1.2°, 432, vol. I.

Salvatore Calogero Virzì, SDB, Santa Maria di Randazzo (estratto)