La tradizione e la pietà popolare vogliono che l’edificazione dell’attuale tempio sia legata al culto mariano locale e all’episodio della dolce leggenda del pastorello e della Madonna del “Pileri”, tramandatasi fino ai nostri giorni con diverse varianti. Tuttavia, le argomentazioni espresse nella narrazione leggendaria sono cronologicamente incompatibili sia con gli elementi architettonici più antichi, sia con quelli stilistici dell’affresco raffigurante la stessa Madonna del “Pileri”.
La scarsità di documenti antecedenti il secolo XVI priva la nostra conoscenza delle antiche vicende costruttive del manufatto. In tal senso, la prima e più antica fonte è un’epigrafe posta sotto l’attuale sacrestia in cui si attesta che il tempio venne ultimato nel 1239. L’iscrizione pubblicata da Walther Leopold nel 1917, recentemente interpretata, ci trasmette anche il nome “Bartholomeus”, il probabile artefice dell’opera.
La configurazione icnografica, le tre absidi romaniche di forma semicircolare e la parte esterna del transetto, le cui pareti frontali sono in asse con i muri esterni delle navate laterali, sono gli elementi architettonici che hanno conservato meglio i caratteri originari del periodo medievale. Nonostante le sovrapposizioni stratificatesi nel corso dei secoli (dal XIII al XVI), tanto la volumetria quanto alcuni elementi decorativi riflettono l’arte sviluppatasi sotto l’imperatore Federico di Hohenstaufen e per tale ragione la basilica Santa Maria di Randazzo può considerarsi tra le più significative e pregevoli architetture medievali della Sicilia.
Dal punto di vista planimetrico l’edificio presenta il consueto schema basilicale: un corpo longitudinale a tre navate con transetto e tre absidi. Il corpo longitudinale è diviso in navate da due file di colonne con capitelli di ordine corinzio sormontati da “dadi” brunelleschiani su cui poggiano le imposte degli archi a tutto sesto.
L’effetto ottico dell’originaria architettura esterna è straordinario. Il compatto paramento murario, costruito con pesanti blocchi squadrati di pietra basaltica di lava nera di diversa misura, fa sembrare la costruzione straordinariamente imponente. La sua particolare articolazione formale accentua il carattere di “chiesa-fortezza”, messo in risalto anche dai merli decorativi posti sopra le piccole absidi laterali.
L’abside mediana, con la sua mole, si innalza quasi fino all’altezza del coronamento del transetto e presenta, nel margine superiore, un robusto cornicione romanico ad archetti pensili ciechi che danno l’impressione di una loggia in miniatura. Anticamente le semplici finestre con arco a tutto sesto delle tre absidi, come si evince dal paramento murario esterno, avevano tutte lo stesso stile gotico. Tuttavia, in epoca a noi ignota l’antica finestra gotica dell’abside mediana è stata sostituita da una grande monofora tuttora visibile, che presenta nell’incorniciatura esterna modanature simili a quelle delle finestre della sacrestia e dell’ex monastero di S. Giorgio in Randazzo.
Sopra la zoccolatura delle absidi si aprono le finestre rettangolari che illuminano la cripta il cui ingresso è collocato a livello del suolo, nel fianco meridionale del transetto. Fra la porta di ingresso alla cripta e la cantonata di sud-est si apre un’altra finestra rettangolare. Questo semplice ma efficace sistema di aperture strombate consente l’arieggiamento e l’illuminazione dell’ambiente seminterrato. La cripta, ancora esistente sotto il transetto e le absidi, forse in origine si estendeva molto di più sotto la chiesa, ma l’aggiunta della cupola rese necessario rafforzare le fondamenta e così una parte di essa è stata murata. Recenti indagini strumentali parrebbero confermare l’ipotesi di W. Leopold secondo cui l’arco nella parete occidentale della cripta dava accesso ad una scala che collegava l’ambiente sotterraneo al presbiterio.
Il lato meridionale del transetto presenta una trifora circa alla stessa altezza delle bifore al di sopra delle absidi laterali. Accanto a questa, nel dopoguerra, venne realizzata una bifora al posto dell’apertura a lunetta risalente all’epoca della costruzione della cupola. A metà altezza, verso la cantonata di sud-est, invece, si trova una grande bifora con arco a tutto sesto e con una massiccia decorazione floreale a rilievo, inscritta dentro un’apertura a sguancio con arco a tutto sesto. Circa alla stessa altezza, verso ovest, troviamo una piccola finestra gotica, oggi murata, anch’essa a tutto sesto.
Degna di nota è la piccola bifora occlusa sormontata da una modanatura aggettante ad arco carenato la cui particolare conformazione, tuttavia, risulta essere in contrasto con le altre forme ancora completamente romaniche.
Le due navate laterali presentano esternamente un portale ciascuna ed una teoria di finestre a tutto sesto risalenti al periodo barocco, collocate circa un metro sotto la linea dei doccioni. Entrambi i portali danno accesso al corpo longitudinale dell’edificio e sono posti ad una quota più alta rispetto al piano delle relative strade. I due livelli, quello dalla strada e quello della soglia dei portali, sono collegati attraverso una scalinata con ringhiera.
Il portale meridionale, di per sé, presenta un’architettura a doppia lunetta che ricorda, nelle colonne tortili e ornate e nella decorazione, lavori dell’arte cosmatesca.
Il lato settentrionale mostra, parimenti, un portale simile nello schema architettonico a quello meridionale. Originariamente era collocato nella parte sud dell’antico prospetto principale con la torre campanaria da dove fu rimosso durante il rifacimento del nuovo campanile. Nel 1910, in occasione dei lavori di consolidamento del fianco settentrionale della chiesa, l’attuale portale settentrionale è stato qui rimontato al posto di un precedente portale dalle linee decorative sobrie e quindi più aderente al carattere stilistico architettonico dell’edificio. Questo, a differenza del portale meridionale, sopra l’architrave, ha l’arco a sesto acuto e nei pennacchi al di sopra di esso una grossolana decorazione floreale, che si ritrova anche nella grande bifora sul lato meridionale del transetto. Nonostante la diversità del sesto dell’arco, acuto in uno e a tutto sesto nell’altro, con ogni probabilità, i due portali risalgono all’inizio del XVI secolo.
L’elegante scudo in marmo bianco con il leone nella cantonata sud-est, emblema di Randazzo, è assimilabile agli stemmi che nel Medioevo ornavano in gran numero le case dei notabili.
La facciata settentrionale del transetto, la cui superficie esterna per buona parte è occupata dall’attuale sacrestia, mostra un’antica trifora che si trova in alto ed una bifora posta poco più in basso simmetrica a quella del lato sud, realizzata durante i lavori di restauro post-bellico al posto dell’apertura a lunetta.
L’interno è stato rimaneggiato nel corso del XVI secolo con un accurato intervento che ha saputo mediare l’originaria impostazione medievale e l’articolazione delle forme e dell’espressività di matrice rinascimentale. Infatti, le più significative modifiche strutturali sono state apportate per la costruzione della cupola collocata sopra il transetto nel tardo XVIII secolo. Questa struttura, che deturpa l’antico equilibrio volumetrico e compositivo dell’edificio medievale, si distacca nettamente dal linguaggio architettonico espresso dal resto della costruzione.
Prima dei rifacimenti interni, la navata centrale come anche le navate laterali avevano, con ogni probabilità, un soffitto ligneo a capriate a vista. Oggi, la navata centrale è coperta da una volta a botte affrescata con una serie di scene tratte dalla storia della Madonna dall’artista Filippo Tancredi.
L’attuale torre campanaria posta nel prospetto occidentale è stata ultimata nel 1863. Sebbene costruita secondo lo spirito gothic revival con elementi lapidei bicromi riproduce, tuttavia, lo stile architettonico e l’articolazione dell’originario campanile gotico. Della precedente torre campanaria si conservano solo pochi avanzi: oltre il portale oggi montato nel prospetto settentrionale si sono tramandati due elementari disegni, uno di Cristoforo Vanaria e l’altro dell’arciprete Giuseppe Plumari, ed un accurato rilievo dell’architetto Sebastiano Ittar che documenta, con esattezza, lo stato del vetusto prospetto occidentale che ospitava la vecchia torre campanaria. Nell’originario campanile era murata un’epigrafe, purtroppo andata dispersa, posta in risalto a destra dello strombo del portale maggiore della chiesa. L’iscrizione recava il nome “Martinus Tignosus” riferibile, con ogni probabilità, al magister o architetto esecutore della primitiva costruzione.
La sacrestia, addossata alla parete frontale esterna nel lato settentrionale del transetto, è stata ricostruita dopo una forte tempesta di vento e di acqua scatenatasi nel gennaio del 1671 che ne provocò la distruzione della precedente. Il progetto, di evidente ispirazione toscana, fu redatto dall’artista messinese Agostino Scilla, mentre la costruzione venne eseguita tra il 1672 ed il 1679. Questa suggestiva architettura si erge, come corpo autonomo, su una piccola loggia generata da tre archi a tutto sesto con pulvino appena accennato. Sui lati est ed ovest le arcate ad ampia corda si riducono a due, prendendo le sembianze di un arco ribassato. Originariamente la sua funzione fu quella di ospitare il Tribunale Ecclesiastico cittadino dove si giudicavano i delitti contro la fede. Per questo motivo, nel linguaggio locale, è detta anche “Tribonia”. Esternamente, ciascuna delle tre pareti, è adornata da due finestre timpanate circoscritte da grate in ferro. Il pianterreno, strutturato in due vani a fornice di differente quota, oltre ad ospitare le antiche epigrafi che documentano la data di ultimazione della parte più antica del tempio, accoglie il carro della “Vara” ed i massicci tronchi di colonne basaltiche di lava nera richieste, nel 1611, dall’arciprete Romeo a tale Pietro Cariola (carraio) che li portò da Maniace. Il primo piano, suddiviso in tre ambienti di diversa superficie, è comunicante con il corpo principale della chiesa. Tuttavia, il piano di calpestio di quest’ultima si trova ad una quota inferiore di circa un metro rispetto a quello della sacrestia, per cui i due ambienti sono accessibili attraverso alcuni gradini.
a cura di Gaetano Scarpignato