«Con atto pubblico redatto a Palermo dal Notaio Geronimo Crupi, in data 5 Marzo 1506 la Baronessa Giovannella de Quatris, sposata a Pietro Rizzari, ma senza prole, lasciava i suoi due feudi Flascio e Brieni, nel territorio di Randazzo — confinanti coi territori di Maniace, Colla Sottana da est ad ovest e coi feudi S. Paolo e Treaie da nord a sud e col Lago Gurrida —, alla Parrocchiale Chiesa di Santa Maria — e alla sua maramma, che “non è una fabbriceria ma è unicamente l’obiettivo immediato cui destinarsi doveano le rendite dei fondi alla Chiesa dati”, come viene sottolineato nella sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catania il 28.2.1871 — perché curasse il completamento della fabbrica della chiesa».

Così il salesiano Salvatore Calogero Virzì introduce il paragrafo La donazione e le sue vicende nel sec. XVI e principio del sec. XVII, nel capitolo 2° della sua opera La Chiesa di Santa Maria di Randazzo (pubblicata nel 1984), per poi così continuare: «Il monumentale complesso di questa chiesa non era stato terminato nonostante i molti secoli trascorsi dal suo inizio [1217], e la pia Giovannella, mancando di eredi, spinta dalla sua fervida pietà, pensò di fare questo atto di grande generosità verso questa chiesa che era stata il rifugio della sua fede provata». Il testamento incluse, però, «tanti di quei vincoli e condizioni ingarbugliate che, nei secoli a venire, suscitarono non poche perplessità e con queste non poche lotte e controversie, ma che, nello stesso tempo, ci rivelano il desiderio ardente del suo animo di potere giovare a quella popolazione con cui ogni giorno si trovava a pregare in chiesa, luogo di rifugio dell’umanità derelitta e provata».

La donazione dei due feudi, la cui rendita allora fu valutata in 45 onze annuali, prevedeva due condizioni: «un legato di maritaggio o di monacazione di onze 10 per giovanette di famiglia nobile decaduta da assegnarsi il 14 Agosto di ogni anno e un legato di onze 8 annuale, vita natural durante, per tal Cosma de Quatris, figlio illegittimo del padre». Altra clausola posta nel testamento era quella che gli Amministratori (uno o due) dell’eredità dovevano «essere non preti della Chiesa ma dei laici eletti dai componenti della parrocchia di Santa Maria assieme al clero della medesima chiesa a condizione che fossero persone oneste e di provata fede». La pia donna esprimeva poi il desiderio che, una volta terminati i lavori della chiesa, si costruisse un Ospedale dei Poveri e Pellegrini e lo si gestisse opportunamente. Infine, detto testamento prevedeva altre due clausole di fatto vincolanti: la prima che i due feudi non potevano «essere né alienati, né impegnati, né stornati dallo scopo indicato dalla testatrice», mentre la seconda che, «nel caso di cattivo funzionamento dei Procuratori eletti dai parrocchiani, specialmente nell’assegnazione del legato di maritaggio, affidava l’incarico di tale legato ai Giurati della Città.

«La donazione ebbe tutti i crismi legali dell’approvazione da parte delle Autorità civili, così come fu richiesta da un comma della donatrice: Ferdinando il Cattolico [dal 1479 al 1516 re di Aragona] approvò la donazione il 28.04.1506 e il Vicerè di Palermo il 31.08.1607 [si vuole qui ricordare che la Sicilia ebbe di fatto a perdere, a seguito dell’assemblea di Caspe tenutasi il 25 giugno del 1412, il titolo di Regno, divenendo Viceregno d’Aragona organicamente dal 1415]. Fu subito eletto il Procuratore nella persona del sindaco della città, tale Matteo de Longi, che, arrivate le conferme, prende subito possesso dei due feudi donati».

«Fin dai primi tempi — si va sempre avanti con lo scritto di Don Virzi, del quale, per ragioni legati allo spazio, si tralasciano molte sue parti — la Chiesa e i Procuratori si mettono al passo per soddisfare gli obblighi imposti dal testamento […], e si iniziano i lavori della Chiesa con tanto ardore, impegno e meticolosità, che, già un decennio dopo, essi erano a tal punto da far sorgere nel cuore e nella mente dei Procuratori e del clero un nuovo progetto […]: quanto ne avrebbe guadagnato il culto e la devozione se quel freddo ambiente, così compassato e ben definito nelle sue linee architettoniche, avesse potuto avere assicurato uno stuolo di sacerdoti che ne curasse e vivificasse le cerimonie! […]. Era giusto che godesse di un corpo di 12 Cappellani stipendiati che ne avessero l’assunto e le cure». Del che la Bolla del 29.12.1545 di Papa Paolo III, «seguita a breve distanza di tempo della esecutoria del Vicerè di Sicilia», che, di fatto, «ratifica la donazione; ribadisce il concetto che nessuno ha la potestà di mutare lo scopo dato ad essa dalla volontà della donatrice dell’opus pium; stabilisce che i procuratori devono ogni anno rendere conto dell’amministrazione ai Giurati sotto pena di scomunica latae sententiae; fonda le 12 Cappellanie e per il loro stipendio stabilisce di accantonare per 30 anni la metà delle rendite dei feudi, lasciando l’altra metà per la prosecuzione dei lavori della chiesa».

«Dopo questo intervento pontificio straordinario, la vita della Chiesa e dell’Opera seguì pacificamente la sua via, testimoniata a noi da vari documenti di elezione dei Procuratori, di investitura, di regolare pagamento del legato di maritaggio e di rendiconto fatto dai Procuratori ai vari Arcivescovi di Messina [si ricorda che Randazzo fece parte dell’Arcidiocesi di Messina fino alla creazione della Diocesi di Acireale, venutasi a costituire con le Lettere Apostoliche Quodcumque ad Catholicae — Religionis incrementum del 27 giugno 1844, Lettere Apostoliche che ebbero l’attesa esecuzione, una volta avveratesi tutte le condizioni ivi poste, il 3 giugno 1873] che vengono a Randazzo in sacra visita pastorale. […]. Si cumularono le somme per il fondo-stipendio dei Cappellani, si proseguì con impegno la cura della fabbrica, si pensò a dotare la chiesa di splendide suppellettili che fossero vanto e ornamento della Casa dì Dio e delle sacre funzioni. E infatti del 1567 l’imponente Ostensorio professionale in argento dorato, modellato squisitamente dall’arte sperimentale del Copula, che ancora esiste nel tesoro della chiesa; proprio della fine del secolo è l’inizio della confezione di quello splendido Paliotto, in oro, seta e perle a migliaia, che possiamo ancora ammirare e che richiese decenni di lavoro accurato, se porta la data del 1638».

«Ma quello che più impegnò la cura dei Procuratori ed Amministratori furono i lavori della Chiesa: le possibilità economiche fecero sorgere nel cuore dei responsabili un grande e rivoluzionario progetto: la ricostruzione dell’interno della chiesa secondo i canoni della nuova arte rinascimentale che, partita da Roma, Firenze, Napoli, aveva entusiasmato gli animi di tutti. Fu un movimento di vasta portata, promossa in Sicilia […] ad opera dei grandi artisti come Andrea Calamech, l’architetto del Senato di Messina venuto dalla sua Toscana, di Giovanni Angelo da Montorsoli e dei Gagini con i quali un soffio di rinnovamento si era diffuso in tutta la nostra plaga. […]. Il poderoso complesso dei lavori, le vistose suppellettili di scultura, pittura, oreficerie, acquistate, e poi, la gestione di attività festive quali la Fiera Franca, il Palio e la creazione della Vara, sorta proprio in questo periodo, ci rivelano la floridezza economica dell’Opera de Quatris e la buona amministrazione dei Procuratori intelligenti e coscienziosi che operano in questo prospero periodo». Proprio così, dal momento che questi Procuratori, oltre a fare della Chiesa di Santa Maria quel gioiello che possiamo ancora oggi ammirare in tutti i suoi aspetti monumentali ed artistici, pensarono anche ad utilizzare i proventi, che annualmente fornivano i due feudi di Flascio e Brieni, per venire incontro ai molteplici bisogni della comunità randazzese. E non solo, visto l’enorme patrimonio acquisito nel corso dei secoli.

Fin qui il primo paragrafo del capitolo 2° dell’opera di Don Virzì, a cui seguono: il secondo dal titolo I contrasti del sec. XVII e la creazione dei R. Amministratori; il terzo dal titolo Le vicende dell’Opera fino al 1827; il quarto dal titolo Avvenimenti particolari (La questione col Seminario, Requisizioni degli argenti, La vertenza con l’Università di Bronte, Istituzioni delle Cappellanie, Vertenza con il Comune di Roccella Valdemone); il quinto dal titolo L’opera de Quatris e le sue vicende dal 1827 al 1866; il sesto dal titolo L’opera e le leggi eversive; e a conclusione il settimo dal titolo I nuovi ed ultimi contrasti col Comune.

Capitoli, tutti questi, che passano in rassegna non più fatti positivi, ma avvenimenti davvero tristi, i quali aprono più di una breccia nella vita dell’Opera, creata e fortemente voluta da Giovannella de Quatris a favore della Chiesa di Santa Maria di Randazzo. Sì, per la maggiore sua gloria, a beneficio dei parrocchiani. Avvenimenti che ebbero a privare l’Opera de Quatris della rappresentanza di Amministratori locali a favore dell’elezione di un R. Amministratore, decisa dal Viceré con decreto sin dal 14.1.1634, che «portò una rivoluzione di tutto l’andamento della vita dell’eredità de Quatris, e tale stato di cose, tra vicende liete e tristi, tra proteste e contromemoriali, si perpetuerà per due secoli fino al 1827». E infatti, «il 21 Aprile 1827 fu una data fatidica per l’Opera de Quatris: con Decreto Reale si aboliva il R. Amministratore di Palermo e si affidava al Consiglio degli Ospizi l’amministrazione dell’Opera e conseguentemente dell’Amministrazione Comunale di Randazzo fino al 1857, e poi la vertenza con il Demanio in seguito alle leggi eversive del 1866, 1867, risolta dal Tribunale a favore dell’Opera; ed infine la contestazione che portò alla transazione del 1908 con la divisione dei beni dell’Opera, una parte dei quali arraffata dalle Autorità comunali del tempo». L’enorme patrimonio fu diviso in otto parti, di cui cinque toccarono alla Chiesa, due al Comune ed una alla Congregazione di Carità.

Avvenimenti che ci mettono al corrente della guerra che si venne ad aprire tra il clero della Chiesa di Santa Maria e il resto della Città, una guerra senza quartieri che l’opera del salesiano Salvatore Calogero Virzì ci racconta nei particolari più minuti, con quella obiettività e serenità che ebbe sempre a caratterizzare la sua azione di ricercatore e di storico, sostenuto, peraltro, in ogni questione esaminata, dalle carte documentali che lo videro impegnato per molti e molti anni. Un’opera, quindi, quella del Nostro Concittadino Onorario, che merita di essere visitata da quanti vorranno approfondire un argomento così tanto importante, per entrare nel cuore della storia dell’Opera de Quatris in particolare e in quella della nostra Randazzo più in generale.